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Uno sguardo al futuro della FLC CGIL

Articolo di Domenico Pantaleo, Segretario generale Federazione Lavoratori della Conoscenza CGIL.
di redazione - 31/03/2010

Il 2° Congresso nazionale della FLC CGIL deve tracciare un bilancio della nostra azione ed essere una sede di discussione e di sintesi di quel grande patrimonio di diversità culturali che hanno storicamente segnato la vita della nostra organizzazione.

Non abbiamo bisogno di pensieri unici ma di un pluralismo di idee e di sensibilità che rendono sempre più forte la nostra organizzazione.

Occorre essere tutti consapevoli che l'alternativa non è tra conservazione ed innovazione e tanto meno tra conflitto e concertazione, per la semplice ragione che senza cambiamenti profondi del nostro modo di interpretare la funzione di rappresentanza sociale saremmo sconfitti e non mi pare esista altra alternativa, in questa fase, ad una radicale opposizione sociale.

Ma non si può guardare all'indietro, ai bei tempi che furono, e quindi occorre analizzare con attenzione la complessità dei problemi senza più vecchi retaggi ideologici.

Non si può negare che siamo stati l'unico soggetto che ha tentato di opporsi alla cancellazione dell'istruzione pubblica da parte del Governo Berlusconi e che per questa ragione milioni di lavoratrici e lavoratori hanno visto nella FLC CGIL l'unico baluardo contro la marea distruttrice del pensiero neoliberista che intende estendere i suoi tentacoli nei settori della conoscenza.

Le tantissime manifestazioni, a partire da quella imponente e unitaria del 30 ottobre 2008, le numerose iniziative messe in campo negli ultimi anni a livello nazionale e territoriale, i referendum contro le intese separate sul secondo biennio contrattuale, la scelta di presentare le liste per il rinnovo delle Rsu scuola, nonostante il rinvio delle elezioni deciso da Brunetta e condiviso dalle altre organizzazioni sindacali, la presentazione delle piattaforme contrattuali radicalmente alternative al nuovo modello contrattuale, hanno consentito di affermare il profilo di una organizzazione responsabile ma allo stesso tempo decisa e coerente nel perseguire la propria impostazione rivendicativa.

I risultati delle elezioni suppletive nella scuola registrano un netto avanzamento della FLC CGIL, così come i dati del tesseramento, nonostante l'alto numero di pensionamenti in scuola e università, indicano una crescita degli iscritti.

Se non valorizzassimo ciò che abbiamo fatto, come potremmo dare continuità alla nostra azione di mobilitazione e sconfiggere dal basso quel pensiero regressivo che intende annullare il diritto-dovere all'istruzione che qualifica la nostra attualissima Costituzione?

Se è ancora aperta la possibilità di risollevare questo Paese dall'apatia, dall'indifferenza, dal senso di solitudine che pervade parti sempre più ampie di persone, bisogna riconoscere che è anche merito nostro!

L'attacco alla CGIL in realtà nasconde la volontà di fare terra bruciata della possibilità stessa di esercitare il conflitto quale arma fondamentale per mutare gli assetti sociali e difendere la nostra democrazia, seriamente in pericolo.

Quel disegno autoritario passa proprio per i nostri comparti: s'intende sostituire il diritto di apprendimento per tutti, la libertà d'insegnamento e di ricerca con l'arbitrio e con più accentuate disuguaglianze.

La vera partita che si giocherà nei prossimi anni sarà quella di mantenere vivo e forte un sindacato confederale che abbia la coerenza di coniugare la difesa dei diritti delle persone che rappresentiamo con una visione generale di trasformazione della società che implica il mutamento dei rapporti di forza e di potere.

La destra vuole utilizzare la crisi per ridisegnare un nuovo blocco sociale di potere incardinato ancora una volta solo sull'impresa e tutto orientato contro il lavoro.

Questo è il cuore dello scontro!

Non possiamo cavarcela, quindi, con un sindacato che torni al mestiere tradizionale, quello della semplice azione rivendicativa e contrattuale, perché la possibilità di avanzamento dei nostri obiettivi dipende sempre più da come si ridefiniscono le gerarchie sociali e da come si torna a valorizzare il lavoro che deve avere contenuti alti di conoscenze e di abilità che tutti devono possedere. Allo stesso tempo bisogna rispondere alla crisi della democrazia offrendo ad ognuno la possibilità di essere protagonista e non spettatore di decisioni assunte da poteri oligarchici che utilizzano spregiudicatamente i mezzi d'informazione.

Per queste ragioni dobbiamo tornare a produrre cultura ed essere fermi sui nostri valori, dando così un'anima al nostro modo d'intendere la funzione confederale, a partire dalla concezione della democrazia nel lavoro come interfaccia di una democrazia avanzata senza la quale non sono possibili conquiste civili e sociali. A novembre bisogna votare in tutto il pubblico impiego per il rinnovo delle Rsu perché la difesa intransigente delle regole sulla rappresentanza nei comparti pubblici è la condizione per estendere la democrazia in ogni posto di lavoro.

Se è questo l'asse strategico della nostra azione, non possiamo e non dobbiamo essere autosufficienti e perciò occorre proseguire nella ricerca continua di alleanze con i movimenti e bisogna aprire una riflessione sul rapporto, molto diverso dal passato, tra rappresentanza sociale e rappresentanza politica.

Le divisioni con CISL e UIL attengono proprio alla natura del sindacato, che nelle scelte concrete di quelle organizzazioni, a partire dall'intesa separata sul modello contrattuale e dal rifiuto di regole democratiche nel rapporto con i lavoratori, si configura non più come soggetto autonomo, ma come un sindacato che cerca di mitigare le scelte devastanti delle controparti senza avere la volontà né la forza di metterle in discussione, scivolando così sempre di più verso una deriva corporativa.
Le nostre posizioni e le loro non sono facilmente componibili. ma questo non ci può esimere dal ricercare ostinatamente possibili convergenze unitarie, partendo dai posti di lavoro e dalle condizioni reali dei lavoratori. Sono convinto che sul tema dei rinnovi contrattuali, pur partendo da impostazioni differenti e fermo restando la nostra netta opposizione ai contenuti del nuovo modello contrattuale, possiamo tentare di definire un percorso unitario che costringa il Governo a stanziare le risorse, così come possiamo insieme trovare una sintesi rispetto alla definizione del comparto della conoscenza.

Non ci sono all'orizzonte, al di la delle chiacchiere di Tremonti, novità sostanziali rispetto alle condizioni che hanno determinato il fallimento del neoliberismo.
Meno democrazia, meno diritti, meno occupazione, più precarietà, più privatizzazione dei beni pubblici, e di conseguenza più accentuate disuguaglianze, continuano a essere l'asse portante dell'impostazione ideologica di questo Governo.
Per queste ragioni dobbiamo proporre un'agenda di priorità che diano il senso di una vera e propria riscossa sociale e non semplicemente di un continuo gioco di rimessa.

Non basta difendere storiche conquiste, occorre avere l'ambizione, pur in una situazione certamente non favorevole, di osare innovative rivendicazioni che ricompongano il lavoro e affermino l'idea che formazione e informazione rappresentano i più straordinari mezzi per una effettiva inclusione sociale.
L'aggiornamento delle nostre impostazioni teoriche e politiche deve prima di tutto fare i conti con una nuova concezione dello sviluppo, non più piegato a logiche esclusivamente quantitative ed economiche, ma finalizzato a soddisfare la domanda di benessere, incentrato sulle conoscenze come volano fondamentale per rivendicare nuovi modelli di organizzazione dei cicli produttivi. La conoscenza costituisce, infatti, uno straordinario veicolo di libertà ed emancipazione, di promozione sociale, di scelta consapevole dei destini individuali e collettivi.

Il sud può tornare a essere una grande questione nazionale se si affermano quelle opzioni strategiche che assumono la piena e buona occupazione come obiettivo centrale delle politiche economiche. Il no al nucleare e il sì alle fonti energetiche alternative, a grandi progetti di risanamento ambientale, a interventi di edilizia scolastica e di messa a norma delle scuole; la produzione di beni comuni, a partire dalla diffusione dei saperi e della ricerca, la difesa dell'acqua come bene pubblico sono i riferimenti fondamentali per dare qualità alla parola sviluppo. Ma prima di tutto c'è bisogno di legalità, uno strumento indispensabile per ogni avanzamento morale e civile del Mezzogiorno.

Noi dobbiamo liberare il lavoro dalla precarietà che si configura come la più moderna forma di sfruttamento, conquistando percorsi, regole e diritti che ridiano alle nuove generazioni la speranza di potere realizzare i propri sogni. Nei comparti della conoscenza, ad esempio, non basta solo riaffermare la centralità del lavoro a tempo indeterminato e del contratto collettivo nazionale, ma è urgente rivendicare un'azione legislativa che metta fine ai processi di deregulation e di precarizzazione e ridia un ruolo centrale alla contrattazione collettiva, al lavoro a tempo indeterminato, ai diritti, all'estensione universale degli ammortizzatori sociali e alla lotta al lavoro nero, sottopagato e irregolare.
Per realizzare un nuovo patto generazionale diventa centrale stabilire una forte interdipendenza tra reddito di cittadinanza, che garantisca a tutti il diritto allo studio, un innovativo sistema di protezioni sociali, un lavoro fatto di stabilità, di condizioni salariali accettabili, di autonomia e di libertà.

Se non è la CGIL ad avanzare un impianto rivendicativo a favore delle nuove generazioni chi altri potrebbe farlo?

Nel congresso discuteremo di questi temi con la consapevolezza che la FLC non è un contenitore delle tante specificità che compongono il comparto della conoscenza, ma un luogo aperto alla ricerca e alla riflessione di quei punti di congiunzione che possono esserne il valore aggiunto per rendere più efficaci le nostre politiche generali e contrattuali.

Il territorio deve diventare il laboratorio per la sperimentazione di un modello organizzativo all'altezza delle sfide dei prossimi anni, spostando allo stesso tempo verso i posti di lavoro il baricentro della nostra azione.
Di conseguenza la funzione dei diversi livelli della nostra organizzazione dal nazionale, ai regionali, ai territori e ai posti di lavoro non può essere esercitata in maniera gerarchica, ma orientata a una continua relazione tra strutture senza chiusure localistiche.
Solo così sarà possibile il rinnovamento generazionale dei nostri quadri e una maggiore presenza di donne in posti rilevanti di direzione del nostro sindacato, che ha bisogno di interiorizzare fino in fondo i fatti nuovi che si affermano nei nostri comparti.

Non dobbiamo mai avere la presunzione di essere portatori di verità assolute, ma, viceversa, predisporci a comprendere le novità.

Anche i nostri linguaggi devono cambiare perché spesso sono troppo tecnici e, come tali, incomprensibili a chi sta fuori dei nostri mondi. Se i nostri discorsi non sono chiari, sono privi di anima proprio perché non narrano efficacemente le condizioni reali delle persone che vogliamo rappresentare.

Questa deve essere la FLC CGIL del futuro.

Aspettando il congresso nazionale