Ore 11.50
Il terzo relatore a prendere la parola è Mario Ricciardi, docente di diritto del lavoro all'Università di Bologna, che inizia il suo intervento partendo proprio dall'esperienza maturata in qualità di componente del direttivo dell'ARAN.
Sulla riforma dei comparti vi è sin dal '93 un dibattito antico, che parte dalla riforma della PA operata con il DLgs 29/93, tuttavia la riduzione numerica non è mai stata una priorità, anche se in generale una razionalizzazione dei contratti, soprattutto quelli privati, è sempre stata auspicabile. Infatti i comparti pubblici da 8 passarono agli attuali 11, a conferma che la spinta è stata più alla loro scomposizione, che all'accorpamento. Quindi sotto questo profilo il DLgs 150/09 pone un problema nuovo portando a 4 (nella prima versione addirittura 2) i comparti, le cui ragioni non trovano però origine nel dibattito fra gli addetti ai lavori.
Se fra le ragioni di buon senso contro la scomposizione dei comparti, prosegue Ricciardi, vi è stata quella di evitare l'eccessiva polverizzazione della rappresentanza delle confederazioni, visto che diventano rappresentative per il governo le confederazioni che hanno associazioni di categoria maggioritarie in almeno 2 comparti, va anche detto che il loro accorpamento non servirebbe a potenziare la contrattazione di II livello, ampiamente diffusa nei settori pubblici.
In realtà l'unica ragione valida a giustificare questo feroce accorpamento sembra essere la volontà accentratrice del ministro della Pubblica Amministrazione: meno comparti più controlli, che coincide col vero obiettivo del ministero dell'economia:, ovvero idurre la spesa e il potere dei comitati di settore. Oltre ovviamente alla volontà di scompaginare e ridurre la rappresentatività delle OO.SS. confederali.
Insomma, sostiene Ricciardi, al contrario di quanto accaduto con la riforma voluta da Bassanini/D'Antona, dietro questa riforma non vi è nessuna grande riflessione. Tuttavia, acquisito che i comparti saranno 4, non vi sono ragioni perché uno non debba essere quello della conoscenza. La stessa ARAN, anche per ragioni organizzative, ha sempre considerato i comparti della scuola università ricerca e afam contigui e quindi in maniera unitaria: unica direzione, unico componente del direttivo che segue questi CCNL. Anche sotto questo profilo questa “unicità” andrebbe salvaguardata.
Che fare quindi con questo cambio di scenario? Per Ricciardi, due sono le strade possibili.
La prima, quella di pensare ad un modello contrattuale per sezioni separate, corrispondenti ai vecchi comparti (posizione politica forte, che evidenzia anche la scarsa condivisione della riforma). L'altra, molto, molto più difficile, sarebbe quella di tentare una progressiva omologazione dei settori di provenienza, con una parte comune e altri parti suddivise per raggruppamenti professionali, come ad esempio insegnati, ricercatori&tecnologi, tecnici e amministrativi.
Non vi è dubbio che la seconda strada è praticamente impossibile: sono troppo diverse le storie contrattuali di provenienza e scarsamente riducibili, sono diversi i modelli d'inquadramento e delle stesse relazioni sindacali, anche istituti peculiari come la mobilità hanno diverse trattazioni. Inoltre senza risorse economiche a disposizione, questa è una strada impercorribile.
Tuttavia, per la prossima stagione contrattuale non si po' essere solo difensivi e qualche passo avanti si può fare. Ecco alcuni spunti forniti da Ricciardi al riguardo:
Occorre, conclude Ricciardi, sì difendere l'esistente, anche perché appaiono molto spericolate le prospettive di messa a regime sul versante contrattuale delle disposizioni del DLgs 150/09, viste pure le più generali difficoltà di tipo politico (le risorse e le difficoltà di bilancio, l'accordo separato sul nuovo modello contrattuale e l'IPCA, ecc…), ma qualcosa si può pur osare in avanti.